Lo stand del posturologo si trova lungo il perimetro di querce e pini che delimita il parco. Al suo interno una signora anziana – mano appoggiata alla schiena, busto piegato in avanti – racconta i tanti malanni. La consulenza è gratuita così mi metto in fila e appena la signora esce prendo il suo posto per avere un parere professionale. Non per me, ma per mia figlia: questa adolescente magra e lunga che cammina curvando le spalle e nascondendo così la sua grande bellezza.
Il posturologo ascolta la descrizione della ragazza e intanto accende la telecamera, mi filma, con un gesto della mano mi invita a guardare lo schermo su cui compare la mia immagine sovrapposta a una griglia di misurazione. Sembro una parodia dell’uomo vitruviano, la postura sbilenca e le proporzioni a casaccio, con uno scarto di quattro gradi tra la spalla destra e quella sinistra e
un fianco più alto dell’altro.
“Lei ha un fastidio persistente al ginocchio destro” sentenzia il posturologo interrompendo il mio monologo.
Sì, vero.
“E non riesce a ruotare completamente il collo verso destra.”
Però compenso ruotando il busto!
“E quando teneva i figli in braccio, li appoggiava sul fianco sinistro.”
Per forza, il braccio destro mi serviva libero per mescolare il sugo.
“E non riesce a toccarsi le punte dei piedi.”
È perché non sento l’esigenza di farlo, bambino mio.
“Adesso metta in bocca questo” ordina, e non è un invito al sesso occasionale ma a inserire tra i molari un pezzetto di cera dallo spessore e la consistenza di un chewing gum.
“Ora provi a toccarsi le punte dei piedi”
Appoggio a terra l’intero palmo.
“Ruoti la testa a destra”
Ci riesco! Ci riesco!
“Si rimetta davanti alla telecamera“.
La parte destra e quella sinistra del corpo sono allineate.
“Lei è magico!” farfuglio con la cera rosa tra i denti.
Ma il posturologo giura di no. Probabilmente, dice, da bambina ho avuto un’otturazione limata male. Magari il dentista si era premurato di chiedere se mi desse fastidio e io, un po’ per l’ottundimento da anestesia, un po’ per timore reverenziale, avevo risposto che era tutto a posto. Inconsapevolmente avevo cominciato a chiudere la mandibola in un certo modo e quel primo adattamento aveva scompensato tutto il resto. Per riportarmi all’equilibrio primigenio, penso, non mi resta che girare per il mondo con uno spessore di cera tra i denti.
Nei giorni che seguono non faccio che pensare a quel momento di condiscendenza verso il dentista della mia infanzia, a quel piccolo e insignificante disagio in grado di propagare i suoi effetti in onde concentriche negli anni a venire.
Mi dico che in effetti ho sempre vissuto così: decidendo di ignorare la stanchezza, rinunciando a un viaggio, a un’uscita serale, silenziando un’ambizione fuori tempo massimo, adeguandomi alle urgenze del momento, consentendo alla mia vita di sbilanciarsi riempendomi di doloretti. Mi sono adattata e, aggiustamento dopo aggiustamento, lo spirito è andato fuori asse; il corpo, pure.
Penso alla postura contorta delle persone anziane e per la prima volta mi domando se non sia dovuta ad articolazioni fragili e osteoporosi, ma al peso dei piccoli e grandi adattamenti al corso della vita: un amore mantenuto per abitudine, un lavoro portato avanti per senso del dovere, una quotidianità senza slanci. Sacrifici fatti senza che nessuno infilasse loro un separatore tra i denti.
Io non voglio finire così, penso tra me e me. Devo trovare un separatore.
La mia amica Silvia dice che quando esprimi un desiderio, l’universo risponde. A me risponde solo l’algoritmo di facebook, però lo fa bene: nella pagina iniziano a comparire inviti a camminate ed escursioni.
È un desiderio antico, quello di riprendere a camminare. Da ragazza lo facevo sempre. Camminavo in montagna, in Val d’Aosta, in Trentino, nel Triveneto. Camminavo con lo spirito con cui le donne camminano: assorta e in silenzio, mettendo a fuoco i pensieri. Così mi ritrovo a vagare sui bordi di un antico vulcano e a ogni passo scarico a terra un pensiero, una preoccupazione. Alla fine della giornata sono così stanca che vado a letto al tramonto e non solo dormo: mi riposo, persino.
Così, il segreto è finalmente svelato: un giorno dopo l’altro mi premuro di indossare il mio separatore: un pasto mangiato con gusto, un’ora di binge watching a dispetto delle urgenze del momento, un pomeriggio per se stessi sottratto a compiti di di cura.
Non sono sicura risolva una postura compromessa dall’età e da scelte discutibili, ma ho l’impressione di camminare già molto più dritta.