Fine anni Sessanta. Manca ancora qualche anno prima che Edwige Fenech porti il nudo integrale sul grande schermo, ma Aïché Nana ha già inaugurato la Dolce vita e i pruriti di un’intera generazione sono pronti a deflagrare.
Lo scenario dove si svolge la vicenda, però, non è il Rugantino, ma il retrobottega del circolo ricreativo di un paese sperduto tra le campagne dell’alta Valtiberina – case, poderi e una scuola dall’architettura littoria. È lì che la notte si esibisce Isidora detta Sidora, trentenne disinibita e sogno erotico dei mezzadri della zona. Ogni notte gli uomini del paese assistono eccitati agli spettacoli della ragazza incitandola a suon di olè! A ogni olè corrisponde uno sfianco, a ogni sfianco Sidora si abbassa sempre più,
sempre più,
sempre più,
sino ad afferrare una bottiglia di birra – no, non con le mani – mostrando al pubblico modi alternativi di bere la birra. Il parossismo è alle stelle, il pubblico non si contiene, scoppia una forte ovazione. Troppo forte: sveglia persino Diego che era stato mandato a letto dopo Carosello e si trovava già al secondo sonno. Quel crescendo di grida spinge il bambino fuori dal letto, sulla strada, ora è già diretto al circolo, segue le urla, entra nel retrobottega. Nascosto dietro le gambe degli adulti, tra il fumo delle sigarette, l’odore di alcol e di qualcos’altro a cui non sa dare nome, Diego assiste al trionfo di Sidora rimandone confuso e un po’ disgustato. «Credo sia colpa sua se sono diventato gay» dichiara oggi. E lei, Sidora, che fine ha fatto? «Ha ottant’anni, è viva e pimpante. La si può trovare mentre con la moto scorrazza per il paese, libera e immarcescibile»